Il giornalismo del futuro si chiama sigaretta

Mi chiedo spesso quale sarà il futuro del giornalismo. O il giornalismo del futuro. Veramente se lo chiedono in molti. Ma per avere una risposta certa, qualcuno dovrebbe mettere dei limiti di velocità e un bel paio di occhi elettronici sulla strada delle nuove tecnologie. Sono troppo, troppo e ripeto troppo veloci. A deteriorarsi.

Questo fenomeno è conosciuto anche come obsolescenza programmata. Prima o poi ci passiamo tutti, anzi siamo proprio dentro una colossale fregatura che frutta miliardi e miliardi. E non a noi.

Si può ribattere che uno smartphone ci ha aiutato a risolvere alcuni problemi logistici della vita. Ci permette di tenerci in contatto perenne con chiunque in qualunque punto del globo (e dello spazio). Il prezzo da pagare è ahimé altissimo, che si tramuta in una droga con un coefficiente di assuefazione da capogiro.

Siamo diventati schiavi dello smartphone, e se dopo due anni è bello e passato, allora non ci facciamo scrupoli a comprarne subito un altro. E anche più costoso del primo. Ma siamo matti allora? Sì, più o meno. Ci hanno ingannato. Ci stanno facendo credere che con lo smartphone possiamo fare tutto. In fin dei conti cos’ha un nuovo modello rispetto al precedente uscito tre mesi prima? Niente, o quasi. Per di più sciocchezze che non userà mai nessuno.

Allora mi chiedo: come si può pensare di aprire una finestra sul futuro e provare a immaginarlo? Perché tutto deve essere compromesso da questa dannata tecnologia? La cosa bella è che più mi rendo conto della dipendenza ultratecnologica, più ne divento assuefatto.

(alpo)

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